Tartufo e Cinema: dentro una storia fatta d’amore, dettagli e un po’ di fiction
Tempo di Oscar, tempo di cinema. Se la storia d’amore tra cinema e tartufo è ricca di citazioni che vanno dai film d’autore internazionali alle commedie all’italiana, vantando pagine e pagine di letteratura e critica in cui questo pregiato frutto della terra è protagonista, è anche vero che a volte, anche il tartufo e il suo mondo affascinante sono stati “vittima” di qualche imprecisione o di qualche trucco tipico della settima arte.
Non è il caso di farne un dramma, perché a nostro parere tutto il cinema che lo ha citato ha reso onore al tartufo in modo sublime contribuendo a diffonderne la conoscenza e il pregio. Ma proprio perché parliamo di una cultura e di un mondo spesso complessi, in quanto legati a tradizioni orali, ai cicli della natura o semplicemente perché lontani da altre culture e abitudini, crediamo sia utile partire da piccoli episodi o dettagli - che non alterano assolutamente il valore di film, a volte capolavori - per approdare a una diffusione il più corretta possibile della conoscenza del tartufo.
Per farlo entrare, insomma, così come sa fare il cinema, nelle nostre case valorizzandone la presenza e la magia. Partiamo da un film piuttosto contemporaneo come Sapori e Dissapori, diretto nel 2007 dal regista Scott Hick, in cui Catherine Zeta-Jones interpreta Kate, una talentuosa chef, proprietaria di un ristorante di successo, un po’ goffa nella vita privata, e forse -aggiungiamo noi - anche nelle operazioni di recupero del tartufo.
Ricordate la scena in cui a un certo punto salva i suoi pregiati tartufi neri gettati dalla nipote che non ne aveva gradito l’odore, mettendoli in una cassetta contenente chicchi di riso?
In realtà, la soluzione individuata dal regista o dallo sceneggiatore, seppur in linea con alcune pratiche in uso tutt’oggi in alcune regioni, è ritenuta non ideale in quanto le proprietà disidratanti del riso possono accelerare il processo di decomposizione del tartufo. Prima di riporlo in frigo per la sua conservazione, Urbani Tartufi consiglia la tecnica del sottovuoto: in questo caso, Kate avrebbe dovuto ripulire i tartufi recuperati con un panno umido e avvolgerli in carta assorbente prima di conservarli sottovuoto, tecnica che aiuta anche a isolarli in fatto di odori e contaminazione con altri prodotti conservati in frigo.
A questo proposito, quello che sembra un dettaglio, come il riporre il tartufo fresco in carta assorbente, è una pratica che - a uno stato ottimale - permette la conservazione del prodotto per almeno una settimana, se non dieci giorni in più, rispetto al normale.
Passiamo ora a un capolavoro del secondo Novecento come Il Pranzo di Babette del 1987, film scritto e diretto dal regista Gabriel Axel, tratto dall'omonimo racconto di Karen Blixen, entrambi tornati piuttosto attuali grazie alle parole di Papa Francesco che hanno reso il Pranzo di Babette un alto esempio di condivisione del cibo e una metafora del suo valore più intrinseco. Non ne ripercorreremo tutte le tappe in questa sede, partiremo dal fatto che la sua protagonista desidera ringraziare con tutto il cuore alcune persone per lei importanti, e per farlo investe una grande somma di denaro al fine di organizzare un pranzo indimenticabile, che si vestirà di ricette sopraffine a base di ingredienti rari. Nel menù non mancano delle deliziose quaglie in crosta al tartufo nero.
Anche in questo caso, riteniamo che la scelta della ricetta e la sua esecuzione siano state di altissimo livello, ma guardando bene la scena della preparazione, a un occhio attento non può sfuggire un dettaglio importante che riguarda proprio il tartufo nero.
La nostra impressione è che in questo caso il tartufo usato non sia vero, ma sia un oggetto di scena o un altro ingrediente mal camuffato da reale tartufo. Sappiamo, infatti, che sia che si tratti di tartufo nero pregiato che di tartufo nero estivo, il suo interno, nel momento di maggiore maturazione, deve essere ricco di venature bianche o comunque di colore chiaro. Tutto il contrario del nero che caratterizza le fette del presunto finto tartufo nella scena di preparazione delle deliziose quaglie in crosta di Babette.
Un altro dettaglio è saltato infine ai nostri occhi in queste immagini, ed è il modo in cui la protagonista affetta il tartufo, ovvero con un grande coltello.
Stiamo ovviamente parlando di un film ambientato a fine Ottocento, un’epoca in cui anche gli stessi strumenti per trattare e cucinare il tartufo erano diversi, non esisteva in questo caso l’affettatartufi, entrato nel mondo del tartufo italiano proprio in quegli stessi anni, ma diffusosi solo nel corso del Novecento, e oggi divenuto un accessorio fondamentale per chi ama e cucina il tartufo, oltre che un oggetto di culto e design che affascina collezionisti, chef e semplici appassionati.