Intervista a Olga Urbani

Umanità e innovazione tecnologica. Famiglia e responsabilità, ma soprattutto natura, profumi e sapori di un frutto che nasce sottoterra e sa inebriare in profondità. Abbiamo incontrato Olga Urbani, appena rientrata da New York, e quel che ne è venuto fuori è il racconto di un’azienda italiana riconosciuta in tutto il mondo come leader del tartufo. Un ruolo conquistato anche per una storia di famiglia lunga 170 anni che continua a portare avanti in virtù dell’unione e del benessere delle persone. Un racconto che vive sulle solide basi di una memoria vivida e sull’esperienza di chi sa trasmettere il valore autentico del tartufo.

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Che il tartufo sia un simbolo di italianità è assodato, quindi le chiedo Olga: quali sono i valori italiani riconosciuti nel mondo e quali di questi appartengono a Urbani Tartufi?

Al primo posto c’è sicuramente la famiglia. A New York, Urbani ha avuto un grande successo fin dal 1911, quando mio nonno mandò lì suo fratello a far conoscere il tartufo a tutti. Un successo determinato dal nostro valore commerciale che è sempre stato simbolo dell’autenticità di quello che vendiamo: del vero sapore del tartufo fatto di tempi della natura e fatica. Perché voglio cominciare dalla famiglia, che è un valore immenso? Perché la nostra azienda, anche se sembra una multinazionale in quanto assume manager e ha molte filiali all’estero, è rimasta comunque un’azienda di famiglia che ha appena compiuto 170 anni. A differenza di tante altre realtà italiane che si separano, a noi è stato trasmesso il dovere di salvaguardare la nostra unione. Credo che la bravura degli Urbani sia stata proprio quella di tenere fermo il perno sulla famiglia, a prescindere dalle diversità che caratterizzano ogni nucleo, e difenderla come un valore che è stato trasmesso anche a tutti i nostri figli e collaboratori.

Non è un caso che quando assumiamo a New York cerchiamo personale italoamericano: è importante che i nostri collaboratori conoscano il mercato americano e che sappiano altrettanto intendere i valori italiani rappresentati dall’unione e dalla coesione espressi dalla famiglia, e lo stesso vale per il mercato asiatico o europeo. Che nel mondo si pensi a Urbani come a delle persone mi dà grande soddisfazione. Mia madre mi ha insegnato che non ci appartiene nulla delle aziende se non il benessere di chi ci lavora: se ti occupi di loro in maniera positiva e valorizzi l’aspetto umano delle relazioni, il bene ti tornerà indietro. Ma il valore della famiglia e l’italianità non vengono espressi solo nel mondo: risiedono anche nel Museo che abbiamo creato a Scheggino e che oggi è tra i musei d’impresa del nostro Paese. Magari è il più piccolo, ma incarna bene l’essenza di questi 170 anni di storia e l’eredità, non solo materiale, di coloro che hanno creato e posto le basi di questa azienda e della cultura del tartufo.

Ha menzionato l’anniversario dei 170 anni della Urbani Tartufi. Che cosa rende un brand di così lunga storia ancora attuale e in grado di muoversi su mercati trasversali?

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L’innovazione tecnologica e, per tornare al concetto di umanizzazione del business, l’innovazione della compagine dei manager, la loro formazione, che non si ferma al lato tecnico ma include l’intelligenza emotiva. Secondo me Urbani è riuscita a rimanere quella che era nel tempo perché non si è fermata mai. Un esempio su tutti è Truffleland. Il nuovo progetto di coltivazione diretta del tartufo che oggi rappresenta il giusto completamento di una filiera che ci permette di coltivare la materia prima, Una scommessa vinta grazie alla forte volontà di mio figlio Francesco e all’innovazione tecnologica: se la Urbani è sempre stata un’azienda trasformatrice del tartufo, ora ne è anche produttrice diretta. Un processo difficile e lungo perché la micorizzazione delle spore nelle radici delle piante ha a che fare con qualcosa di molto complesso, e questa creazione in laboratorio di una simbiosi naturale a volte ha visto risultati non in linea con le aspettative. Soprattutto al principio, siamo passati dall’entusiasmo alla voglia di mollare, che però non ha mai vinto.

Non importa quante difficoltà abbiamo vissuto e quante ne vivremo ancora: proprio in questo mese ho firmato l’atto con cui autorizziamo un ampliamento di 4.200 metri quadrati di produzione della Urbani Tartufi, ovvero il raddoppio degli attuali terreni dedicati alla ricerca e all’innovazione tecnologica. Questo perché in Urbani viviamo costantemente e con grande consapevolezza la responsabilità che abbiamo nei confronti dei consumatori, dei nostri figli, dei nostri nipoti e dei figli dei nostri collaboratori: del futuro, insomma. E il segreto per rispettare tutto ciò risiede proprio nell’innovazione tecnologica continua e nell’investire anche e soprattutto nei momenti di crisi economica internazionale come quello che stiamo vivendo, perché le crisi ci spingono al cambiamento, a metterci in discussione, a creare nuove strade. A noi non basta fare bene: desideriamo fare al meglio delle nostre possibilità, e se la perfezione non esiste ed è difficile da imitare, esiste la qualità inconfutabile.

Che cosa rappresenta il tartufo per Olga Urbani: un bene di lusso o un ingrediente abituale?

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Immagino la percezione del tartufo a livello internazionale sia quella di un prodotto di lusso, e d’altra parte, dato il suo posizionamento commerciale, lo è. Ma se mi si chiede cosa rappresenti per me il tartufo, rispondo che io lo lego alla sua vera essenza e lo vivo come un miracolo della natura e della terra. Per me il tartufo è un miracolo in bianco e nero, un miracolo che collego alla magia e alle emozioni che abbracciano l’intero vissuto della cerca e della cavatura.

Un’esperienza intimamente legata alla natura, al mistero che avvolge il tartufo sottoterra e allo speciale legame di gratitudine che si instaura tra cavatore e cane quando questo lo porta alla luce. Poi, se penso al tartufo penso al suo profumo, che si percepisce davvero ovunque e che io adoro, così come il suo sapore, il suo gusto.

Qual è il riconoscimento di cui va più fiera come rappresentante della Urbani Tartufi?

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Ricevere la telefonata del Presidente della Repubblica che mi comunicava di essere stata nominata Cavaliere del Lavoro è stata un’emozione indescrivibile, non solo per il prestigio del titolo e del momento, ma per un motivo che è molto legato a mio padre, il quale ricevette prima di me lo stesso titolo nel 1996. Ricordo quanto avesse desiderato un riconoscimento tanto prestigioso e meritevole, e ricordo, quando tornò a casa, la sua emozione, il suo orgoglio e le parole che ci scambiammo. Io gli feci i complimenti, aggiungendo che un giorno avrei voluto ricevere lo stesso titolo. Lui mi rispose dicendomi che questo non sarebbe mai accaduto in quanto quel titolo veniva concesso solo agli uomini.

Lo presi come uno stimolo, e lavorai duro per anni e anni proprio per raggiungere quell’obiettivo che sembrava impossibile anche agli occhi di mio padre. E oggi eccomi qui, Cavaliere del Lavoro, impegnata insieme ad altre donne che hanno ricevuto lo stesso titolo perché possa crescere sempre più il numero delle imprenditrici che ne vengono investite. Attualmente siamo meno del 3%, ma sono orgogliosa di dire che quest’anno, per la prima volta, anche grazie a quest’impegno tutto al femminile, le donne nominate Cavaliere del Lavoro sono state sei invece delle solite tre: un passo in avanti che pure in questo caso si nutre di perseveranza e determinazione.

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